Milano Fashion Week. Fra progetto e visioni.

Quando finisce la Fashion Week milanese, il traffico ritorna ad essere moderato e il tram torna nuovamente in Bovisa capisco che è iniziato finalmente l’autunno. È l’ora di sistemare tutti i vestiti che ho lasciato in giro mentre cercavo l’outfit perfetto e posso tornare a guardare un Giorno in Pretura senza l’ansia di non esserti registrato ad alcuna RSVP.

Ma è quando mi fermo un attimo che mi chiedo cosa mi abbia lasciato questa settimana così frenetica dove gli show si susseguono senza alcuna pietà, dove l’elitismo è travestito da democrazia e i brand presentano pezzi su pezzi che nessuno compra. Insomma, il fascino della fashion week, che dipinge la città di outfit unici, party più o meno belli e sfilate più o meno belle porta con sé una serie di contraddizioni non da poco.

Courtesy of Versace

Conosciamo Milano come la città della moda e dello stile, il Made in Italy per il livello di manifattura e innovazione e i designer italiani sono rispettati in tutto il mondo per il loro approccio. Eppure, guardando i risultati di questa ultima FW, mi sembra di guardare il povero furgoncino giallo di Little Miss Sunshine che porta dentro di sé una famiglia un po’ disastrata e un cadavere.

Sono moltissimi i designer che scavano e ricercano dall’archivio nella speranza di evocare attraverso il loro Heritage delle sensazioni passate che si rifanno a dei tempi ormai perduti, basti pensare a Sabato De Sarno per Gucci che alla sua terza collezione fa sfilare un corteo di capi d’abbigliamento anonimi e senza alcuna innovazione – tailor pants on sneakers? Groundbreaking! – cercando di riferirsi ad un’epoca fra Jackie O e Fiordaliso, molto amata dai giovani, ma che probabilmente non è coadiuvata da scelte interessanti a livello di stile e prodotto.
Ma a cadere nella noia non è soltanto il nuovo direttore creativo di Gucci, anche Donatella inciampa nell’archivio di Versace Versus riportando in passerella uno stile privo di alcun mordente finendo nel puro citazionismo di sé stessi senza neanche riuscire ad essere irriverente come dovrebbe essere una sfilata Versace. Potremmo cambiare location e brand ma il risultato sarebbe lo stesso, sfilate piatte dal punto di vista progettuale, dove sembra ci sia soltanto confusione, non una direzione creativa ma un’assenza di progettualità a lungo termine.

Courtesy of Gucci

E anche se i tempi sono eccessivamente difficili per il mercato della moda, basti pensare alle perdite subite dal gruppo Kering e dalla pochissima richiesta che viene dal consumatore finale, non credo sia giusto adagiarsi su questa tendenza di appiattimento visuale e contenutistico al fine di creare un prodotto commerciale (che poi a chi vende?) e di uso comune. Lo show dovrebbe essere in grado di comunicare, non solo la cernita di capi sviluppata dall’ufficio creativo di turno, ma anche ciò che sono i valori, i temi, le vedute e il futuro del marchio. Al momento però sembra che tutti i marchi vedano un futuro difficile, dove non bisogna sfidare il consumatore finale in modo da evitare perdite e dissenso.
Mi viene spontaneo chiedermi, non è forse compito del designer riuscire a proporre delle alternative stilistiche e progettuali al modo di vestire corrente?
Se così non fosse, e quindi la strada della cautela, della noia come scrive Silvia Schirinzi fosse quella giusta da prendere in tempi così difficili, allora lo show non diventa un orpello inutile che anima soltanto l’ego del marchio? A che serve far sfilare una canotta bianca, un pantalone sartoriale e una sneaker quando è da anni che vediamo le stesse cose su migliaia di influencer?
Un ulteriore domanda mi sorge spontanea, qual è il ruolo dei marchi emergenti e indipendenti all’interno di questa narrativa? Romperanno il pattern o seguiranno il percorso dei loro parenti più grandi?

Since the early 20th century, knitwear has stood as a symbol of modernity, versatility, and liberation. Its stretchable, form-fitting nature offered an unprecedented sense of ease and movement, reshaping how people dressed for both everyday life and physical activities. Knitwear broke away from the rigidity of traditional tailoring, becoming the garment of choice for a new era defined by dynamism and innovation. Whether on the tennis courts, at the beach, or during leisure time, knitwear became the trusted ally of a society embracing change, freedom, and a more active lifestyle. Its timeless appeal continues to bridge functionality and style, securing its place as a cornerstone of modern fashion.
Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi ogni settimana:

Contenuti in esclusiva

Aggiornamenti progetto

e molto altro…