Cavi, sintetizzatori, monitor e computer sono gli strumenti chiave del lavoro di Stephen Monning, giovane visual artist americano trapiantato in Belgio, focolaio della Glitch Art grazie ad autori come Rosa Menkman e il collettivo artistico JODI.
V: Ciao Stephen! Siamo felici di parlare con te oggi. Raccontaci un po’ del tuo background e cosa influenza la tua produzione artistica.
Stephen: Sono un americano che vive in Belgio. Il benessere psicofisico e le emozioni influenzano molto le mie opere, sono un’interpretazione di ciò che sento attraverso la post-produzione di immagini, video e suoni. La musica è una grande influenza per il mio lavoro, in particolare la musica strumentale e post-rock.
Inoltre, cerco di collegarmi alla melodia che sto ascoltando per creare. Alla fine, è quasi come giocare con gli effetti e il loro rapporto con la musica, finché non mi viene da dire “oh sì, suona bene!”.
V: Qual è stato il tuo primo approccio creativo?
Stephen: Avevo 10 o 11 anni quando trovai la telecamera dei miei genitori, e con il mio amico dei tempi, iniziammo a registrare video amatoriali nel giardino di casa con i nostri giocattoli o mentre suonavamo la chitarra. Durante il liceo sperimentavo creando diversi tipi di musica elettronica, in particolare la “noise music”. Ad un certo punto, un promoter mi chiese se volessi delle videoproiezioni per i miei lavori e io risposi che ne avessi bisogno! Proprio perché la musica che facevo al tempo non era facile da comunicare senza alcuna grafica di supporto. Suonarla da qualche parte con delle luci apposite riusciva a renderla meno aggressiva, più accessibile, oltre che molto più intensa di come doveva essere. Sono partito dal creare della strana musica, a pensare di aver bisogno di qualcosa per mitigare l’effetto finale, e in effetti, ho capito che l’aspetto visuale riesce ad appagarmi maggiormente e ad avere più presa in me. Preferisco tradurre in grafica la musica di altri piuttosto che creare la mia.
V: Qual è l’emozione, il messaggio o concetto che vuoi condividere col tuo lavoro?
Stephen: Ciò che creo non è necessariamente per gli altri. Per me è un processo catartico che serve per esprimermi e dialogare con i miei disturbi di ansia e depressione. Non ho nessun obiettivo quando creo: sono solamente io e la possibilità di sentire qualcosa in qualche modo. Quando ancora creavo musica noise e ambientale avevo un amico che si addormentò durante un mio live set, e si scusò ripetutamente. Io gli risposi che anzi era fantastico che si fosse addormentato, era proprio quello che volevo. Non volevo nessuno che mi dicesse “ho amato quel pezzo specifico”. Il mio obiettivo non è che tu ascolti attentamente tutto il pezzo, preferisco che tu lo usi per meditare, per capire come stai e come ti senti: è un modo per esplorare la propria mente.
V: Ci interessa molto come racconti la tua dinamica di ricerca interiore attraverso la creazione di opere visuali. Ci hai parlato della possibilità di esprimere i tuoi malesseri attraverso la produzione artistica. Puoi raccontarci quali sono i tuoi step?
Stephen: Utilizzo moltissimi video amatoriali dagli anni ’60 e ’70. Mi piace cercare di interpretare ciò che stanno passando quelle persone. Ad esempio, potrebbe trattarsi di una famiglia in vacanza, ma chi ci dice che stanno davvero vivendo un momento felice? Quei bambini si stanno divertendo o sono forzati? Cerco di dare un significato e regolare di conseguenza il mio lavoro, se la interpreto come una situazione in cui si stanno realmente divertendo, allora userò una palette più brillante e non manipolerò eccessivamente il video. Riguardo agli strumenti che uso, utilizzo video masters, vecchi video, sintetizzatori video e pattern. Per questa tipologia di arte è importante capire ciò che le differenti componenti elettroniche sono capaci di fare. Il mio processo non è mai “voglio raggiungere questo obiettivo” ma è “cosa può venire fuori con questa cosa”.
V: Quali sono gli artisti che ti influenzano?
Stephen: Ci sono tantissimi artisti che mi influenzano! Kenaim da Phoenix ha una grandissima influenza su di me per i suoi scenari onirici . L’ho conosciuto su Tumblr 10 o 12 anni fa, quando creava una gif differente al giorno. AITSO è un artista canadese che utilizza la post-produzione e l’effetto glitch che applica in maniera molto interessante su degli elementi d’arredo. EVEN HANRY di Cinema.av che al momento lavora da Berlino ed è – a mio avviso – il miglior video synthesis artist presente al mondo.
V: Ci hai raccontato come produci la tua arte per te. Ci chiedevamo, l’ambiente in cui lavori come influenza il tuo lavoro?
Stephen: Non sono sicuro di essere influenzato dall’ambiente in cui lavoro o dalla percezione che hanno gli altri. è un lavoro così personale che preferisco conoscere ciò che loro sentono attraverso ciò che produco. I film che guardo e la musica che ascolto riescono ad avere un impatto maggiore su quello che faccio. Il lavoro che faccio per mantenermi non credo influenzi la mia produzione artistica, dal momento che sto dentro un magazzino ad alzare scatole tutto il giorno. La maggior parte del tempo penso a che risorse posso sfruttare durante il mio processo creativo, come utilizzare certi dvd, video o un dato mixer.
V: Lavorando in un magazzino, come riesci a conciliare la tua produzione artistica con il tuo lavoro? Come organizzi il tuo workflow?
Stephen: Impiego molto tempo per ritornare a casa ogni giorno, quindi non sono molto libero in questo periodo. Mi costringo a sedermi sulla sedia per lavorare e spesso riesco ad usare soltanto i weekend, anche se con qualche difficoltà. Non avendo un piano, mi siedo e inizio a giocare con le varie funzioni. Appena noto qualcosa che mi piace, faccio partire la registrazione, ma la maggior parte del mio processo creativo lo reputo solo un’esplorazione di ciò che faccio. Sono pessimo nella gestione del tempo: penso molto e dedico meno tempo al mio artwork!
Il mio lavoro non ha significato, produco ciò che penso e ciò che penso sia figo per me e per gli altri. Attualmente lavoro con band e organizzatori di eventi e lo trovo molto divertente! Penso sia interessante finire un evento ed essere senza parole: questo è quello che cerco di trasmettere con la mia arte. Se riesci a sentire qualcosa, allora è perfetto!
Manuela: Dunque, potremmo riassumere il tuo lavoro con una frase che dici spesso: “I make things that I think are pretty”.
Stephen: Esattamente, questo è il mio processo. Io creo cose, se mi chiedono cosa significa rispondo “non lo so!”. Quando avevo vent’anni, ero appassionato alla corrente Dada, quindi ritengo che l’arte non abbia bisogno di avere un concetto. L’arte concettuale è grandiosa ma può soltanto essere “mi piace e non so perché” o perché mi fa sentire qualcosa. Non sono mai stato interessato a comunicare un’idea che covavo, non è il mio modo di lavorare.