Fare moda a Palermo. CASA PRETI si racconta fra origini e internazionalità.

Incorniciato fra la grande via Roma e i palazzi storici della via Grande Lattarini, si trova un piccolo quartier generale che da diversi anni gioca un ruolo importante per la moda siciliana e per la città di Palermo. CASA PRETI nasce sette anni fa dall’incontro fra il sarto palermitano Mattia Piazza e l’architetto svizzero Steve Gallay.
Oggi con noi c’è il direttore creativo Mattia Piazza per raccontarci il suo percorso.

V: Leggendo un po’ sulla la tua figura, ci sono alcuni argomenti a noi cari che ci piacerebbe trattare con te. Hai parlato tante volte del tuo background: “nato a Palermo, […], intraprende studi musicali di lirica e chitarra classica”, noi di Vapore amiamo la contaminazione e i percorsi inusuali, la tua formazione legata alla musica come influenza la tua visione progettuale e produttiva? Credi che la commistione di diversi ambiti artistici abbia portato maggiore contenuto in ciò che crei per Casa Preti?

M: In tutto il lavoro di Casa Prati ovviamente è super importante e centrale il concetto di commistione, di unione, di comunione. Sicuramente la mia formazione musicale ha influenzato le scelte del design, proprio perché l’educazione classica ti porta ad avere, in qualche modo, un’educazione al rigore. Questa è presente all’interno degli abiti di CASA PRETI. Studiare musica e design mi ha arricchito e ci ha permesso anche di formare il nostro punto di vista, è quello che cerchiamo sempre di raccontare all’interno delle nostre collezioni.

Penso al lavoro fatto con Vanessa Beecroft, è stato un incontro su un piano prettamente artistico e uno legato all’abbigliamento, ma soprattutto un incontro sul piano umano.
Le collaborazioni con la Rappresentante di Lista che in qualche modo hanno creato un intreccio tra musica, moda e arte nel luogo della performance, o anche l’uscita del fashion film di CASA PRETI, CARMINA 8/10, con la regia di Enrico Bellenghi, che è un modo per presentare una collezione di moda meno usuale, e mi ha dato la possibilità di raccontare la mia idea di Palermo, di famiglia, di amore ed evoluzione con un mezzo, il cinema, che regala delle prospettive uniche per la sua fruizione.

V: Palermo, la nostra città, teatro della cultura Araba, Normanna, poi Liberty importantissimo nodo culturale dell’800, ha vissuto una primavera negli anni ’80 del secolo scorso. Conosciamo bene anche l’altro lato della medaglia, una città che è stata in mano alla mafia e la malavita che ancora è ben radicata nella cultura popolare. In questa contraddizione, sembra spesso difficile far nascere anche solo un fiore! Ci piacerebbe sentire da te come ti interfacci con queste contraddizioni, cosa è per te riuscire a portare avanti questo progetto in una città impegnativa come Palermo. Pensi che sviluppare il tuo progetto in un altro ambiente (come Milano, la città della moda) potesse essere più facile?

M: Quando abbiamo aperto a Palermo 9 anni fa, sembrava una sfida impossibile, specialmente perché CASA PRETI è un’azienda genderless e discuterne in Italia all’epoca era complesso, figuriamoci a Palermo. Tuttavia, ho trovato un territorio affascinante e stimolante, che mi ha sostenuto e mi ha offerto opportunità uniche. Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti locali e internazionali, come LOL Surprise di Los Angeles, che mi ha scelto come designer per la Fashion Week.
Non credo nella narrazione che descrive un luogo come intrinsecamente difficile; ogni luogo ha le sue sfide, ma per me ogni sfida è un’opportunità. Stiamo anche progettando una nuova apertura a Milano, non perché credo che sia più facile o meno difficile, ma perché sono attratto dalle sfide e dalle possibilità di trovare soluzioni in luoghi nuovi e diversi.

V: Restando sulla nostra terra, ricca di tradizioni ceramiche, e tessili come i pizzi del centro Sicilia. Qual è il ruolo che un marchio giovane può giocare all’interno di questo panorama decadente?

M: Posso dire che negli ultimi anni Palermo, in generale in Sicilia, ci sono delle realtà di grande valore. Penso a quelle legate alla tradizione del centro Sicilia, come appunto i pizzi e i ricami ma anche a tutto quello che di nuovo si muove ai margini delle narrazioni ufficiali. Tutto in qualche modo sembra volgere al bello.
Noto che la generazione di designer come la mia crei delle contaminazioni interessanti dove tutto può assumere un valore, può diventare il centro di una collezione, di un ragionamento. Non parlerei di una Sicilia decadente, la vedo in un percorso di ascesi, come qualcosa che tende ad andare verso l’alto, ritrovando e in qualche modo riscoprendo sé stessa. Noto anche delle nuove istanze politiche, nei movimenti culturali, una sete, un desiderio di poter fare bene. Sicuramente tutto questo è impossibile senza avere un’attenzione alla storia e a quello che può insegnarci. Tutti gli universi in qualche modo si mescolano. Vedo una Palermo molto simile a quella della fine dell’Ottocento siciliano o dei primi anni del Novecento, delle possibilità e la loro voglia di esprimersi.

V: Ora una domanda un po’ più intima, quando è nata in te la necessità di creare? Qual è stato il tuo primo approccio?

M: In realtà, non mi considero un creativo nel senso tradizionale del termine, perché non sento di creare nulla di nuovo. Mi vedo più come un antropologo che mette insieme elementi esistenti in modi nuovi e interessanti. Il mio approccio è più logico e progettuale: vedo cose che esistono, trovo connessioni significative tra di esse e le combino in un sillogismo che ne permette di dare una lettura differente. Essere un direttore creativo per me implica una forte esigenza comunicativa e il desiderio di trasmettere un impatto emotivo attraverso ciò che faccio. Non c’è stato un momento definitivo in cui ho capito che questa era la mia strada; per me è sempre stato l’unico modo per affrontare il mondo.

V: Casa Preti nasce nel 2017. Mi dicevi telefonicamente che nel tuo percorso hai progettato una decina di collezioni, siamo arrivati all’autunno inverno 2024/25 con Carmina 8/10, un fashion film che introduce la nuova collezione. Dal racconto del tuo immaginario emerge sempre un collegamento con la sacralità, con l’amore e una tensione di libertà. Potremmo definire questa la tua poetica. Come traduci questi messaggi all’interno dell’apparato comunicativo e produttivo di una collezione? Quali sono per te i passaggi fondamentali che portano a comunicare la tua poetica?

M: Il primo passaggio fondamentale è relativo al rispetto. Dare una sacralità al mio lavoro significa trattare ogni persona coinvolta nel processo con gratitudine e profondo rispetto, che si tratti della realizzazione del fashion film o della produzione effettiva dei capi, tutti rappresentano un universo.
Con CARMINA 8/10, volevo raccontare il mio punto di vista sulla famiglia e l’autenticità, del rispetto delle parti, del rispetto nei confronti di sé stessi, dell’amore per i piccoli movimenti. Credo che questo sia quello che trovo sacrale. Ci sono delle immagini che restano all’interno della mia testa, possono essere il modo in cui qualcuno mette le mani, il modo in cui un tessuto viene mosso dal vento, i giochi delle frange di una finestra o la sensazione di lenzuoli stesi al sole. Sono tutte delle immagini che in qualche modo restano eterne dentro di me.

V: Carmina 8/10 nasce da una collaborazione con Enrico Bellenghi, regista milanese inserito di recente nella cinquina dei migliori registi dell’anno under 25 dall’ambito festival Videoclip Italia. Il titolo del Fashion Film ci porta direttamente nel mondo di Catullo e Lesbia, sfrutto questo collegamento interdisciplinare per chiederti quanto sia importante per i nuovi direttori creativi conoscere in maniera trasversale diversi ambiti della cultura.

M: È fondamentale. Immagino sempre di creare un discorso che vada oltre gli abiti stessi. Più si crea un melting pot di influenze culturali, più diventa interessante. Ascoltare e avere molta curiosità può essere una sfida, quello che occorre è riflettere una visione complessiva e interpretare l’altro come uno sguardo e una storia per te impossibile e riuscire a riconoscersi in essa.

V: Leggendo l’intervista a BeSicilyMag evidenzi come questo lavoro sia “un regalo ma anche un elogio a Palermo”. Qua vogliamo provocarti un po’, come pensi si coniughi la necessità di raccontare la tua terra attraverso l’ausilio di un autore milanese. Trovi una contraddizione in questo oppure pensi sia necessario riuscire a creare una collaborazione del genere per arricchire la narrazione?

M: Sì, perché diventa un’occasione, un’opportunità, una visione. Credo che sia fondamentale dare a sé stessi la possibilità di non avere limiti. Diventano delle occasioni per conoscere e quindi aggiungere dei predicati infiniti a soggetti differenti.
CASA PRETI è diventata un progetto di vita per me, un luogo in cui mi sento a casa e che considero centrale nella mia esistenza.
Ho sempre parlato di case, luoghi, abiti, spazi in cui vivere perchè tutto nasce dal bisogno di conoscere e condividere, darsi la possibilità di uscire da sé e di guardarsi da fuori.

Il mio rapporto con Bellenghi durante la realizzazione del fashion film è stato emozionante, perché abbiamo condiviso una visione di comunione e rispetto. È importante collaborare con persone che condividono i tuoi valori, anche se provengono da luoghi diversi, poiché ciò arricchisce il lavoro e crea una visione più profonda e tridimensionale.

V: Carmina 8/10 è stato presentato al Sicilia Queer Filmfest. Casa Preti nel suo corso è diventato una fucina di eventi e creatività che hanno spesso un messaggio o un sottofondo politico. Quanto pensi sia importante per un marchio portare con sé uno sfondo etico e immateriale come questo? E dal tuo punto di vista, quali sono i temi sociali a cui Casa Preti tiene di più?

M: La diversità, l’inclusione e la libertà di espressione. Sosteniamo la parità di genere, i diritti LGBTQ+ e l’importanza di creare uno spazio accogliente e rispettoso per tutte le persone. Questi valori sono centrali non solo nelle nostre collezioni, ma soprattutto nel nostro modo di vivere, di pensare alle collaborazioni e agli eventi che organizziamo. Crediamo che la moda possa essere uno dei più potenti strumenti di cambiamento sociale, sogniamo un mondo più libero, più semplice, un luogo, appunto, in cui sentirsi a casa.

V: Ci piacerebbe raccontassi come nascono i look delle tue collezioni, che processo c’è dietro?

M: Parto sempre da immagini molto forti, da volumi molto grandi. Da cose che, in qualche modo, strutturano il corpo. Che via via, in qualche modo, diventano la casa del soggetto che le indossa… La domanda che mi pongo spesso è… Dove si siede oggi una persona? Perché userà quel capo? Dove si troverà? Le risposte a queste domande influenzano le scelte dei look, poiché voglio che gli abiti siano versatili e possano adattarsi a diverse occasioni d’uso.

V: “Non si tratta di vestiti ma di luoghi da vivere […]” raccontaci un po’ del rapporto di Casa Preti con il corpo.

M: Il corpo è al centro della nostra attenzione, e per questo prestiamo molta cura ai tessuti. Vorrei che gli abiti diventassero la casa più accogliente possibile per il corpo; quindi, adotto linee rigorose e formali che permettano al soggetto di sentirsi libero e non costretto. Anche con volumi ampi o più sottili, l’aspetto che mi interessa di più è il movimento: come gli abiti si muovono e come interagiscono con il corpo.

V: “[…] permettendosi sempre spazi di libertà con capi che raccontino la giocosità e la spontaneità del nostro DNA attraverso materiali vinilici e colorati che interagiscono con un’anima legata alla tradizione sartoriale italiana e al rigore delle forme.” Nella progettazione di un abito ci si interfaccia con diversi materiali, esiste un dialogo fra forma, funzione, estetica. Come traduci nel tuo metodo di progettazione questo dialogo? Qual è il tuo rapporto con il materiale?

M: Il mio rapporto con il materiale è esattamente quello di un bambino. Io sicuramente ne faccio una questione di sensi, per citare Munari. Lo guardo, lo annuso, lo tocco, lo ascolto. Utilizzando tutti e cinque i sensi, sono questi a guidarmi e a dirmi cosa vuole diventare, non è una scelta predefinita. Diventa un processo di sintesi tra materiali, concetti, persone, una profonda moltitudine, una narrazione, in un rapporto di dialogo e scambio continuo.

V: Siamo alla fine dell’intervista, spero sia stata interessante! Prima di lasciarci però ci piacerebbe toccare altri due argomenti! Quali sono le competenze necessarie per chi vuole intraprendere la carriera del direttore creativo? Quale consiglio daresti ai tuoi concittadini che vogliono intraprendere un percorso creativo in una città come Palermo? E poi, lavorando in un settore del genere ci si deve interfacciare con un’alta competitività e tantissimi progetti differenti, se dovessi individuare qualche progetto contemporaneo interessante quale menzioneresti?

M: Una competenza cruciale è la capacità di pensiero critico e analitico. Questo ti permette di valutare le tue idee e soprattutto la capacità di ascolto.  Avere una morale di ferro, una serietà, darsi dei tempi, delle scadenze, darsi dei ritmi, perché Palermo, ma non solo, è una madre molto accogliente in cui è anche molto semplice perdersi. Quindi la conseguenza è accettare il processo che va dall’ascolto al rigore e dal rigore all’ascolto.

I progetti contemporanei che trovo interessanti sono quello che si concentra sulla diversità e sull’inclusione, piuttosto che sulla competizione. Trovo che sia importante valorizzare le esperienze personali e le prospettive uniche di ogni individuo, anziché confrontarle in una competizione diretta. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare uno spazio in cui le risorse e le esperienze di tutti possano contribuire positivamente, senza necessariamente creare un confronto competitivo.

Since the early 20th century, knitwear has stood as a symbol of modernity, versatility, and liberation. Its stretchable, form-fitting nature offered an unprecedented sense of ease and movement, reshaping how people dressed for both everyday life and physical activities. Knitwear broke away from the rigidity of traditional tailoring, becoming the garment of choice for a new era defined by dynamism and innovation. Whether on the tennis courts, at the beach, or during leisure time, knitwear became the trusted ally of a society embracing change, freedom, and a more active lifestyle. Its timeless appeal continues to bridge functionality and style, securing its place as a cornerstone of modern fashion.
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