Fermare il Tempo. Con Romina Zordini

Vapore: Ciao Ramona! Siamo felici di poterti dedicare uno spazio nella nostra rivista.

Ramona Zordini: Ciao Pietro, ringrazio te e Vapore per avermi accolto nel vostro progetto con questa intervista.

Noi di Vapore amiamo parlare delle pratiche e di cosa ci spinge dal punto di vista progettuale a prendere alcune strade rispetto ad altre. Guardando il tuo profilo ciò mi cattura da subito sono degli elementi ricorrenti nelle tue opere acqua, macchie e un’atmosfera sognante. All’interno del tuo percorso, da cosa derivano questi elementi?

RZ: Lavoro con l’acqua ormai da 12 anni, superficialmente si potrebbe dire che è l’elemento primordiale per eccellenza e che rispecchi il concetto di mutamento, concetto a cui faccio riferimento nel mio corpus creativo.

Nel profondo utilizzo l’acqua come barriera di confine tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori e come riflesso nel viaggio introspettivo di ognuno di noi, credo che la cosa più difficile sia conoscere sé stessi, è un viaggio lungo una vita e questo ciò di cui parlo nel mio lavoro.

V: Mi è piaciuto molto leggendo la tua biografia come parli di indagine esplorative verso le tue scatole chiuse. Cosa rappresentano queste scatole?

RZ: Le scatole chiuse rappresentano le parti di noi che non abbiamo ancora scoperto e quelle che non esistono ancora, è un’indagine continua, che non ha fine, che non ha inizio, che non è lineare ma si muove Zig-zag nel tempo dentro di noi.

V: Il tuo ultimo progetto si chiama “Guideline Routine”, realizzata attraverso la tecnica del collage e della cianotipia ci porta sulla tematica del viaggio e della ricerca in profondità. Che viaggio proponi a chi guarda le tue opere?

RZ: Questo progetto si chiama Guideline Routine, il suo nome rispecchia il suo percorso perché ho iniziato questo lavoro giorno per giorno come un mantra che si ripete, è la mia routine e come tale è un database di come cambia il mio approccio ad esso nel tempo. A chi guarda le mie opere propongo di osservarle specchiandosi attraverso il proprio viaggio.

V: Qual è il processo che c’è dietro la creazione di un tuo lavoro?

RZ: Il processo che accompagna ogni opera è lungo e complesso, scatto fotografie una due volte al mese e poi scelgo dal mio database quella che in quel momento mi attira di più e su cui immagino una strada.

Inizio facendo delle prove di stampa quindi emulsiono alcuni fogli e li stampo esponendoli con il bromografo; in questo modo mi faccio un’idea dei tempi disposizione adatti a quell’immagine e con la stampa inizio ad immaginare dove strappare e come tonificare.

Poi preparo i fogli strappati in ordine e trascrivo i tempi, i soggetti e la numerazione di ogni foglio, li emulsiono e li lascio riposare.

Successivamente li espongo al bromografo uno ad uno nei tempi e nei modi che ho deciso e poi li tonifico con i tannini che sono contenuti nel tè e nel caffè.

Una volta finito e lascio asciugare e li monto uno sopra l’altro.

Ci sono Cianotipie monocolore, Cianotipie bicolore e Cianotipie tricolore, a seconda della quantità di colori si fa un certo numero di esposizioni.

V: Se ogni passo falso è in realtà un passo giusto, quanto influisce il caso e l’errore nel tuo processo creativo?

RZ: L’errore del mio processo creativo è fondamentale, la Cianotipia è una tecnica con un’infinità di elementi e varianti, basta cambiare qualcosa nel processo, anche solo un tempo o un dosaggio e cambia tutto, inoltre quando si parla di bicolore e tricolore si entra nel campo della sperimentazione pura in quanto sono pochissimi gli artisti che ci lavorano.

V: Molto spesso ritrai donne in attimi sognanti e intimi. Cosa rappresenta questo ritratto della femminilità e qual è il tuo rapporto con la rappresentazione della donna.

RZ: sicuramente il soggetto femminile è quello che più mi rappresenta essendo donna, ma è anche vero che tutto ciò che concerne l’emotività, la creazione e il mutamento è molto più affine al femminile che al maschile. Ritraggo però anche personaggi maschili ma soprattutto adolescenti perché anche si riflettono la stessa idea di mutamento.

V: Nelle tue opere ci si sente catapultati al di là di un confine spaziale, lo spettatore sembra esistere direttamente nello spazio del soggetto. Prevalgono delle sensazioni di intimità, ambiguità, qualcosa di non detto e talvolta anche sofferenza. Qual è il tuo rapporto con questa intima espressività?

RZ: Ho sempre amato il concetto di opera aperta per cui quando lavoro cerco sempre di esprimermi in questa direzione, mi piacciono le opere che lasciano lo spettatore libero di cercare la propria risposta alle domande che lascio, è come se creassi un terreno su cui ci si può sedere ed ascoltare le proprie sensazioni.

V: Resta impresso l’utilizzo del colore, appare spesso terroso, polveroso e molto profondo. Cosa ti porta alla scelta di questa palette?

RZ: Questa tecnica utilizza molti elementi naturali, sali ferrosi per rendere fotosensibile la carta, l’acqua per sviluppare l’immagine, il sole pera, il tè o il caffè per colorarla. È stato un percorso perfettamente naturale arrivare a questa palette perché è perfettamente in linea con questa tecnica.

V: Cosa ti ha avvicinato all’utilizzo di una tecnica come la cianotipia, che volendo risulta in netto contrasto con l’estremo sviluppo delle nuove tecnologie (per citarne alcune l’AI)? Puoi parlarci un po’ di questa tecnica?

RZ: Credo che oggi in particolar modo ci sia bisogno di un ritorno alle origini, proprio perché il mondo corre veloce e tutto ciò che conosciamo di sé diventa sempre più virtuale credo che sia molto molto importante di prendere contatto con la realtà e con la materia e che in questo particolare periodo storico acquista ancora più valore.

V: Chiudiamo con le ultime domande di defaticamento, se dovessi guardare indietro nella storia dell’arte e della fotografia, chi sono gli autori che ti piacerebbe incontrare? E chi invece i tuoi “maestri”?

RZ: Mi piacerebbe molto incontrare autori come Max Ernst e Bruno Munari, tra i miei maestri invece sicuramente Lola Duprè e Roger Ballen, li adoro.

V: Che consiglio daresti ai futuri fotografi?

RZ: Non mi sono mai mai considerata davvero una fotografa ed ora ancora meno, il fotografo vive un disagio profondo, secondo me, che riguarda il tempo del suo lavoro, lo scatto è troppo veloce e l’artista vive della gioia della creazione quindi il fotografo, subisce questa velocità, è frustrante.

Ai fotografi consiglio di trovare un modo di allungare il proprio tempo della creazione perché questa è la vera soddisfazione nel settore creativo.

Since the early 20th century, knitwear has stood as a symbol of modernity, versatility, and liberation. Its stretchable, form-fitting nature offered an unprecedented sense of ease and movement, reshaping how people dressed for both everyday life and physical activities. Knitwear broke away from the rigidity of traditional tailoring, becoming the garment of choice for a new era defined by dynamism and innovation. Whether on the tennis courts, at the beach, or during leisure time, knitwear became the trusted ally of a society embracing change, freedom, and a more active lifestyle. Its timeless appeal continues to bridge functionality and style, securing its place as a cornerstone of modern fashion.
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