Fotografare il momento. Un racconto sull’editoria indipendente con Anna Frabotta

C’è un posto a Milano, fra le strade di Porta Venezia, che raccoglie fra le sue mura qualcosa di mistico. Libri, riviste e immagini che raccontano le idee e visioni di giovani autori scelti con cura dalla proprietaria di questo posto magico: Anna Frabotta! Il suo progetto nasce nel 2019 da una passione personale e dal desiderio di potersi reinventare, l’obiettivo? Riuscire a creare un luogo online e fisico dove piccoli editori, designer e autori possano trovare uno spazio di vendita. Anna sceglie personalmente le riviste che porta nel suo store, svolge un lavoro di curatela approfondito della selezione di magazine che propone al suo pubblico. Oggi noi di Vapore siamo felici di poter scambiare due chiacchiere con lei per conoscere meglio il mondo dell’editoria indipendente!

Ciao Anna! Siamo felici di poterti dedicare uno spazio all’interno della nostra rivista. Iniziamo con una domanda di riscaldamento per creare un terreno comune per tutti i futuri lettori di questo articolo. Perché ci si dovrebbe avvicinare a questo mondo e quali sono le caratteristiche che danno valore ad una rivista indipendente?

L’editoria periodica, che sia indipendente o meno, è uno dei prodotti culturali che meglio riescono a raccontare il contemporaneo che abitiamo, e che meglio riescono a darci una prospettiva futura e storica. Il rapporto che la rivista ha con il tempo è sicuramente interessante rispetto di altri prodotti culturali. La rivista per il fatto di essere periodica riesce a fotografare il momento, a veicolare degli ideali e una visione a cui ambire.
Ripercorrendo le storie riesci ad avere il polso di quella che è stata l’atmosfera e la storia. Se vuoi, ad esempio, studiare il movimento femminista attraverso i libri, alla fine ti mancheranno dei pezzi, implementando lo studio attraverso le riviste puoi andare a vedere foto, interviste e percepire in fondo il clima globale che si respirava all’epoca. Se pensiamo alla storia dell’aborto, dalle riviste riusciamo a ricostruire l’atmosfera che permeava il dibattito.
Inoltre, le riviste indipendenti aprono un mondo a mille informazioni a cui spesso non si ha accesso, passando dai talenti emergenti che sui mezzi di comunicazione mainstream non trovano spazio mentre nell’editoria di nicchia riescono a trovare il loro posto; questo ci permette di scoprire cose e persone che altrimenti non potremmo conoscere. Anche l’estetica, che ha la stessa importanza del contenuto, passando dalla sperimentazione, alle carte diverse e i formati sono tutte cose che non troviamo nell’editoria commerciale periodica e nei libri che spesso sono molto standardizzati.

Per avvicinarci al tema del primo volume di Vapore, ti faccio una domanda un po’ personale. Iniziare in questo campo, che non ti permette di avere grandi margini, si sposa bene con la paura del “non riuscire ad andare avanti” e la paura del fallimento. Tu come ti interfacci con questa esperienza?

Premesso che questa paura c’è sempre e non se ne va mai! La paura del fallimento, dei problemi economici e di non farcela è una costante. In cinque anni noi siamo cresciuti tantissimo, abbiamo fatto tante cose e continuiamo a farle, non ci siamo fermati al primo step. Abbiamo deciso di continuare ad investire e crederci. Il segreto per mettere da parte la paura è credere in quello che fai, se non siamo noi i primi a crederci è difficile poi convincere gli altri ad investire sul nostro progetto. Quello dell’editoria ha marginalità veramente bassissima, e bisogna esserne consapevoli! Difficilmente la rivista diventa la tua fonte di reddito, ad esempio Olivier Zahm, founder e art director di Purple Magazine, ha dichiarato che non fa solo Purple.

Riesci a ritrovare nel tuo percorso un momento in cui hai avuto un’epifania e hai deciso di fare il passo in più fondando Frab’s?

Frab’s ovviamente nasce da una passione personale, l’idea di trasformarla in qualcosa in più era nella mia testa già da un po’. Io sognavo di avere un’edicola, sognavo di fare l’edicolante nella vita, anche se poi ho fatto tutt’altro.
Mi trovavo a Riga nel 2018, e sono andata a visitare una libreria.
Io nei miei itinerari metto sempre tantissime librerie. Ero da Mister Page in periferia a Riga, avevano una sala solo di magazine e mi chiedevo perché non ci fosse qualcosa di analogo in Italia. Avevo 31 anni e ironia della sorte durante il viaggio di ritorno stavo leggendo “Una vita da librario” di Shaun Bythell. L’autore racconta la storia della sua libreria, lui lavorava in finanza a Londra (immagina gli stipendi!) e l’autore a 31 anni molla tutto e torna nel suo paesino in Scozia per rilevare l’unica libreria del suo paese. Adesso in questo paese fanno importanti festival letterari. Io avevo 31 anni, lui aveva 31 anni, mi sono detta “Ok non è tardi!”. Prima facevo l’addetta stampa, e pensavo che non si potesse più cambiare, invece in questo momento e arrivata l’epifania.

Quali sono le prime riviste che hai preso sotto la tua ala a cui sei più affezionata?

Di riviste italiane RVM Magazine che sfortunatamente non esce più, è una rivista di fotografia. È stata fondata da Agnese Porto, una delle prime persone che ha creduto in Frab’s. Lei l’ho conosciuta in una fiera, le ho raccontato il mio progetto e con super entusiasmo mi ha dato la sua fiducia. Sempre italiana, Quanto Magazine è questa rivista di letteratura speculativa, mi era apparso casualmente su Instagram un loro post con una mano che dava fuoco ad una rivista con la scritta “Quanto brucia!” io non avevo idea di cosa fosse ma li ho contattati subito e senza chiedere neanche chi fossero ne ho ordinate 15!
Di quelle estere, una di quelle a cui sono più affezionata è Meantime proveniente da Singapore. È semi artigianale ed è nata nel 2018 quando è nato Frab’s. Anche quella l’ho intercettata quando stavo selezionando le riviste per il primo catalogo di Frab’s. Un ricordo molto vivido è quando sono andata a ritirare alle poste il pacco da Singapore.

Dalle tue mani saranno passate migliaia di riviste, secondo la tua esperienza qual è la più grande mancanza del panorama indipendente italiano.

Una grande mancanza riguarda la grafica, è assurdo in quanto i grafici sono i nostri principali clienti! Fortunatamente la stanno colmando. Esistono riviste di grafica estere, fra i nostri best seller abbiamo Brand da Hong Kong e Slanted dalla Germania. Fino a qualche tempo fa c’era la rivista dell’AIAP ma era un po’ saltuaria.  A settembre uscirà il primo numero di Grafika, la mente è Stefano Cipolla, Art Director de L’Espresso, che ha messo insieme i migliori Art Director italiani.
In generale in Italia mancano persone che credono nel nostro paese, molte riviste sono già pensate inglese e quindi per un pubblico internazionale, anche giustamente visto che il mercato estero è più abituato. Quindi sì, investire di più nel nostro paese sarebbe bello, ma realisticamente capisco che hanno ragione.

Mi piacerebbe fare un gioco! Immaginiamoci dei nutrizionisti della cultura, qual è la dieta che un Art Director dovrebbe seguire tutti i giorni?

Uh! Secondo me la dieta che dovrebbe seguire è sicuramente onnivora, eclettica.
Per colazione, un frullato di news da telegiornale e delle principali testate giornalistiche. Penso sia importante avere contezza del mondo e di ciò che sta succedendo. Qualunque designer, fotografo o art director non immagina mai un prodotto avulso dalla realtà.
Uno spuntino divertente andrebbe fatto con un zine leggera e ironica come quella di BoloPaper per imparare l’ironia e l’autoironia che non è una cosa da poco! Non prendersi sul serio.
Per pranzo, leggere un po’ di riviste di nicchia per capire ciò che fanno gli altri, ciò che fanno i nostri competitor e fare un carico di reference.
La cena, la concludiamo con qualcosa da incubo, torniamo sul mainstream con una serie di riviste commerciali per capire cosa NON fare!
Per questo dico eclettica ed onnivora, perché bisogna sempre guardare tante cose!
Se non volessimo restare strettamente legati all’editoria, per merenda io ci metterei anche una bella mostra.

La dieta eclettica ci piace molto. Se dovessimo individuare quei lavori, opere o riviste che sono cruciali nella formazione di chi lavora nella creatività.

Non è facile dare un solo titolo, l’ambiente della creatività è molto variegato. Penso sia necessario conoscere gli antipodi, conoscere il Donna Moderna della situazione fino ad arrivare a Rubbish una FAMzine di tiratura limitatissima di Singapore estremamente sperimentale, sono progetti folli e senza alcun rientro economico.

Quali sono quei progetti e ambienti da tenere d’occhio se si vuole stare aggiornati riguardo le nuove tendenze e sperimentazioni?

Ci sono riviste per chi lavora nella grafica che sono Brand e Slanted, ma anche Imagazine. Ogni settore ha un po’ le sue riviste di punta, per chi lavora nella moda dovrebbe quanto meno seguire Dust in Italia e System Magazine.

Secondo te, quali sono le competenze essenziali per chi vuole iniziare un progetto del genere?

Sicuramente tra le competenze necessarie c’è la conoscenza trasversale ed ampia su ciò che è il panorama editoriale e ciò che succede nel mondo. Ad esempio, D Repubblica è stato il primo settimanale per donne allegato ad un quotidiano, in Italia è nato nel ’96. In America esisteva molto molto prima, per cui conoscere e vedere cosa c’è fuori e acquisire una grande conoscenza. Per un Art Director, bisognerebbe avere uno spiccato senso dell’estetica ed essere molto riconoscibile, se ti riconoscono all’estero sei arrivato!

Si parla da almeno un decennio della famigerata crisi dell’editoria. Partendo da ciò che abbiamo detto precedentemente, perché in Italia amiamo l’idea che nella cultura e nell’editoria si guadagni poco e si debba guadagnare poco?

Faccio una premessa! Il fatto della crisi, secondo me, da un lato è un alibi, non mi piacciono i piagnistei e ogni volta che sento questi discorsi mi chiedo se non sia il caso di analizzare le motivazioni dietro questa crisi! Il problema dell’editoria è che manca una curatela di contenuti di qualità, tutto il contenuto di un magazine è ormai influenzato dagli inserzionisti. I lettori non sono stupidi, si allontanano dal prodotto.
Di contro, nascono molteplici progetti di nicchia per ovviare a questa mancanza dove la pubblicità non influenza il contenuto ma si integra al progetto.
Nelle riviste mainstream la pubblicità va da 2:1 fino anche a 1:1 e diventa disturbante, nel magazine di nicchia la presenza di pubblicità è spesso relegata all’inizio o alla fine del magazine così da non disturbare la lettura e, talvolta, vengono realizzati anche dei progetti speciali per rendere “bella” anche la pubblicità. L’editoria di nicchia, a differenza di quella mainstream, grazie alle nuove tecnologie sta fiorendo, riesco a leggere online gratuitamente; quindi, se mi avvicino alla carta è perché cerco qualcosa di unico, di qualità.
Fatta questa premessa, in Italia abbiamo questa idea tutta nostra, da un lato la cultura dovrebbe essere la cosa più democratica del mondo, dall’altro lato si arriva a pensare che chi lavora nella cultura lo debba fare per hobby così penalizzando i lavoratori di quest’ambito. È sbagliato sia questo che renderla elitaria, bisognerebbe ritrovare un giusto equilibrio. Spesso muovono la critica che le riviste costano troppo e siano elitarie, ma stai comprando un prodotto di qualità una volta l’anno, penso sia un investimento che si possa fare.

Nel momento della formazione fra scuola e università, cosa potrebbe cambiare per avvicinare i giovani a questo ambito?

In ambito scolastico si potrebbe aprire un mondo riguardo cosa non va! Uno dei ruoli principali della scuola è quello di offrire degli strumenti, questi strumenti sono anche utilizzabili nel quotidiano, quindi magazine e periodici, non solo i libri.
Mi stupisco quando le università, soprattutto quelle di settore, restano legate a metodi molto vecchi. Il mondo delle accademie è abbastanza aperto a questo ambito, però mi è capitato di vedere dei corsi di studio legati all’università pubblica e all’editoria che non prendono in considerazione il settore dei magazine. In Italia manca proprio la cultura legato a questo. Si possono dare sempre più strumenti agli studenti e questo significa metterli davanti alla diversità di prodotti che non sono solo quelli che si possono trovare in edicola.

In molti settori produttivi si parla di saturazione semiotica. Come se tutto fosse già stato fatto. Questo è un tema che nell’editoria penso possa far riflettere, come si affronta questa contraddizione/opportunità per chi vuole creare un magazine? In un mondo dove c’è tanto, come si può dare la propria idea?

Mi piace il binomio contraddizione – opportunità. Soprattutto nelle riviste di moda si sta subendo un appiattimento, ci stiamo abituando a dei canoni estetici che vengono spesso da Instagram  assimilabili a delle mode velocissime. Altrettanto spesso nelle riviste vengono prodotti degli editoriali che mancano di una narrativa ed espongono unicamente quei canoni estetici a cui ci stiamo abituando. Inoltre, avere la possibilità di pubblicare su carta diventa qualcosa in più rispetto ciò che può essere relegato allo scrolling dei social. Stai creando un oggetto che viene stampato, che già solo il fatto sia su carta gli conferisce un valore diverso. Questo eccesso di immagini viene recuperato andando sul magazine di carta e svolgendo una curatela accurata di contenuti. In questo momento, è importante fidarsi di una curatela di qualità.

Parlando di nuove possibilità, leggendo in giro ho visto dei commenti negativi riguardo l’utilizzo di intelligenza artificiale nell’editoria. Ci possono essere degli impieghi all’interno dell’editoria o è una minaccia per la parte creativa?

Penso che l’intelligenza sia uno strumento giusto se utilizzato in maniera corretta. A livello distopico se cade nelle mani sbagliate può spaventare. Se diventa uno strumento che facilita l’uomo nello svolgere i compiti quotidiani è sicuramente interessante. Quello che a me non piace è l’impiego a livello creativo dell’IA, io penso che il fare umano non possa essere eguagliato dall’intelligenza artificiale. Non mi piace vedere queste riviste che la utilizzando a corredo dei propri articoli. Di contro, è uscito il primo magazine di moda fatto completamente con l’uso dell’AI. Quello che non auspico è che la creatività venga completamente sostituita.

Since the early 20th century, knitwear has stood as a symbol of modernity, versatility, and liberation. Its stretchable, form-fitting nature offered an unprecedented sense of ease and movement, reshaping how people dressed for both everyday life and physical activities. Knitwear broke away from the rigidity of traditional tailoring, becoming the garment of choice for a new era defined by dynamism and innovation. Whether on the tennis courts, at the beach, or during leisure time, knitwear became the trusted ally of a society embracing change, freedom, and a more active lifestyle. Its timeless appeal continues to bridge functionality and style, securing its place as a cornerstone of modern fashion.
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