Ciao Diletta! Sono felice di poterti ascoltare oggi, anche se da una webcam, per raccontare un po’ di SpazioB**K, nato in collaborazione con Chiara. Il mio interesse nasce dal fatto che non tanto tempo fa, mi trovavo al cinema Beltrade totalmente ignaro del vostro lavoro e ho visto con molto piacere “La Vocazione di perdersi” un film di Francesco Clerici e Mattia Colombo, produzione e produzione esecutiva di SpazioB**K.
Sono rimasto molto colpito non solo dalla produzione filmica in senso stretto, che regala uno spaccato del vostro lavoro ricco di poesia, sperimentazione e coralità ma soprattutto dal vostro approccio all’editoria, all’educazione alla lettura e non come fatto privato.
Vorrei ripercorrere con voi la vostra storia e ciò che vi spinge ad investire in un’attività come questa.
V: Dal 2012 nel quartiere Isola di Milano, curate e selezionate personalmente libri e albi illustrati per tutte le età. Perché il libro illustrato? Da dove nasce il vostro interesse per questo particolare settore editoriale?
D: Bisogna tornare un po’ indietro. Lavoravo a Libraccio da tanti anni, mentre Chiara, la mia socia, lavorava in un laboratorio di artigianato tessile. Il Libraccio dove lavoravo, in particolare, era una libreria d’arte, in mezzo questo mare di libri di tutti i generi provavo una forte attrazione verso questa tipologia di immagine. Mentre Chiara, che veniva dall’artigianato tessile, era legata ai libri di artigianato ricchi di illustrazioni e rappresentazioni.
Questi due settori ci univano, e in un periodo storico molto florido, quando nascevano tanti spazi legati alla cultura come la Libreria Corraini 121 in via Savona, c’erano dei segnali del fatto che il libro illustrato in Italia avesse bisogno di una rispolverata. Se guardiamo le grandi librerie, come la Hoepli e la Rizzoli, le immagini e l’illustrato hanno avuto in tempi gloriosi uno spazio gigante, ma questo spazio progressivamente si è ristretto. Per i libri illustrati, la libreria più importante del centro rimase Armani.
Noi, volevamo ridare una dimensione popolare al libro illustrato, dunque, non solo il coffee table book o il libro costoso, ma mettere insieme le risorse visive dal punto di vista editoriale.
Inoltre, l’editoria dei libri illustrati per giovani ha avuto una crescita vertiginosa, io provenivo da una tesi di master proprio legata a questa tematica. Anche le case editrici più grandi hanno pian piano aperto le porte ai libri illustrati per adulti, che restano comunque in minoranza.
Dopo il Covid, la grafica e l’illustrazione per adulti ha subito una battuta d’arresto. Questa tipologia di editoria, trasversale nelle varie fasce di età, aveva bisogno di un nuovo spazio popolare che potesse cucire insieme diversi generi e con una ricerca di catalogo più trasversale.
V: Nel 2012 avete assistito ad una ripresa e una maggiore sensibilità rispetto questa tipologia di libri. Qual è la prospettiva futura rispetto questo settore? Pensi ci sia una sensibilità crescente?
D: I libri illustrati sono un mare! Si potrebbe parlare di quelli per ragazzi, dove c’è stata una crescita vertiginosa con rimescolamenti legati al genere, ci sono stati momenti di boom dei cartonati per la prima infanzia, così come sul tema della ricerca scientifica, mentre ora invece si va alla scoperta di una nuova creatività.
Poi bisognerebbe pensare un po’ attraverso i generi e i paesi, nel fumetto si cercano sempre nuove strade!
Il Sole24 ha iniziato a lavorare col fumetto, ci sono dei segnali di cambiamento. In Italia, tutto ciò che è grafica e illustrazione per adulti è pressoché inesistente. Come case editrici abbiamo Quinto Quarto e Lazy Dog; anche a livello internazionale c’è poco spazio, se guardiamo i libri di artigianato legati al tessuto e la stampa vanno molto forti, in Italia qualcosa viene importato per svecchiare il mercato però è tutto abbastanza fermo. Alcune case editrici si stanno solidificando sulla saggistica dell’arte e della grafica.
V: Spesso proprio questa nicchia viene assimilata ad una narrativa per bambini o giovani ragazzi. Cosa dovrebbe spingere un adulto ad avvicinarsi a questo mondo e iniziare a scoprire questa tipologia di libro?
D: È una domanda complessa perché risulta complesso trovare questi libri. È come proporre un’alimentazione più varia ad una persona che è abituata a mangiare sempre le stesse cose. Qual è la porta d’accesso per trovare questi libri? Arriviamo al libro per bambini tra i 3 e i 5 anni, dopo i 5 anni il libro illustrato inizia progressivamente a scomparire.
Per gli adulti esistono fumetti, manga e poi basta, no? Quindi, vedo un po’ la difficoltà di trovarli, un po’ la difficoltà nel sentire la possibilità di trovare qualcosa che ti rispecchi sia nelle cose più per bambini che nel mondo dell’arte e della grafica.
Questa doppia difficoltà, pratica e di immaginario, rende la risposta un po’ difficile. Se non c’è possibilità di trovarli, e abbiamo una grande difficoltà nello scoprirne la varietà perché la proposta è sempre la stessa, non percepisci che tu possa trovare qualcosa di interessante. Nelle librerie lo spazio è riservato ai bambini, i libri dell’artigianato lo assimili alla nonna che cuce, se pensi al libro illustrato per adulti arrivi quasi ad un immaginario pornografico, se pensi ai libri di grafica li releghi ai fighetti nerd, è tutto un immaginario da ricostruire.
Quando noi facciamo questo lavoro di ritessitura della varietà, è lì che le persone scoprono attraverso una situazione non mediata che in questo contenitore possono trovare cose che gli appartengono.
Hai anche la possibilità di scoprire cose che ti mettono in relazione con gli altri e con il vantaggio dell’immagine che rende l’immedesimazione, l’immaginazione e partecipazione più forte, molto più diretta e senza filtri.
In una società di immagini, dove scorrono velocemente davanti a noi, l’immagine dei libri è ferma e fruibile con il tuo tempo, non controllato dagli altri, questo fattore diventa molto interessante. Una volta usciti dalla connotazione dei soli libri per bambini, si ritrova la possibilità di recuperare un tempo diverso, dove quello che accade alla fine è molto personale. I libri illustrati, in ogni contesto assumono forme molto diverse.
V: Dopo 12 anni di SpazioBK, quali sono gli aspetti di un albo o libro illustrato che lo rendono interessante e di valore?
Per i corsi di formazione aumentiamo la varietà e togliamo la nostra soggettività.
Per la libreria, che è lo specchio di ciò che siamo noi, abbiamo una scelta più personale. Sicuramente c’è una selezione a più livelli.
Una parte è sicuramente istintuale, non abbiamo dei paletti entro cui i libri devono stare.
Noi non ci occupiamo di critica, quindi noi non facciamo un discorso su com’è scritto il testo, com’è la relazione fra testo e immagine, queste cose ti arrivano col tempo ma noi tendiamo ad evitare un discorso di qualità. È una parola che sta molto stretta.
La scelta viene dagli editori, case editrici e autori a cui siamo affezionati, viene dal senso di appartenenza che ha un registro visivo piuttosto che un altro, per noi tutto quello che un certo segno più grafico e colorato ci colpisce di più piuttosto delle cose che sono ad acquerello. Sicuramente, la relazione fra testo, immagine, tipografia e confezione tutta è importante. Ci possono essere dei libri molto belli, ma su supporti e font pessimi, in questo caso non riusciamo a comprarlo, perché il rapporto fra tutti gli elementi del libro illustrato non è bilanciato.
La carica sperimentale è un altro fattore attrattivo, in particolare, evitiamo l’approccio didascalico e moralista, negli anni ho visto che più i libri non li capisco più mi piacciono.
Preferisco ciò che ho bisogno di rileggere, di cui sento un’architettura solida ma che non risultano totalmente leggibili, ad esempio i libri di Fotokino hanno un ché di molto vicino all’arte e all’autoproduzione, alcune cose sono quasi incomprensibili, quel genere lo apprezzo molto! Prima ero innamorata dei libri della Beatrice Alemagna, che man mano però ha abbandonato il filone sperimentale restando su storie più lineari.
V: Quali sono quei titoli a cui ti senti più legata?
D: Faccio un po’ fatica perché ho la tendenza a rimuovere!
Posso parlarti dei libri che ultimamente mi sono piaciuti tanto, questo lavoro di ricerca o raccolta aiuta. Mi è piaciuto molto “Face the Day” (Kitty Crowther, Fotokino 2023), poi mi è piaciuto un libro fotografico e pittorico chiamato The Oldest Thing (Ruth Van Beek, poesie di Basje Boer, Van Zoetendaal Publishers 2023).
Anche Pizzly (Jérémie Moreau, Tunué 2024), che parla di un improvviso viaggio da Parigi verso l’Alaska.
L’ultimo libro di BlexBolex, Incantesimi, sulla perdita della magia e sulle immagini. Poi ce ne sarebbero tanti altri, ma questi son i grandi amori.
V: Abbiamo sfiorato un tema caldo ormai da diversi anni, la crisi editoriale che ha investito il mercato della carta stampata. Qual è la tua opinione rispetto questo tema?
D: Noi non siamo molti amanti di questo tipo di narrazioni, sono profondamente retoriche e fanno il gioco della deresponsabilizzazione attribuendo sempre ad altri il fatto che non si legga.
In Italia, ci sono delle grosse questioni politiche, legate anche a questo governo, che vedono una svalutazione del mondo dell’editoria e delle biblioteche.
Più che dire che non si legge, dovremmo chiederci, le nostre librerie sono abbastanza belle? La nostra offerta è interessante? Le nostre proposte in quanto incontri e presentazioni sono abbastanza interessanti? Riusciamo a fare comunità con i vari segmenti della filiera per valorizzare il prodotto? Quello che leggiamo ai ragazzi è interessante oppure si annoiano a morte? Questa domanda è cruciale rispetto a come è stata affrontata la lettura in Italia dove il libro è sempre legato ad un compito e alla dimensione scolastica.
Il libro illustrato, che potrebbe essere il cavallo di battaglia per sfondare la dimensione della fatica di leggere, rimane sempre in sordina.
In generale questi discorsi, ci sembrano un po’ i discorsi da bar dell’editoria, come parlare del profumo della carta, delle librerie come avamposto culturale, e come il libro di qualità…sono tutti termini che ci fanno accapponare la pelle. Si investe più tempo a parlare di queste cose piuttosto che dirci che cosa possa aumentare il piacere della lettura. Come possiamo sostenerla? È importante pensare al libro come bene comune, quindi pensare al libro con una sfera politico-sociale, e dall’altra parte di chiedersi che cosa renda piacevole la lettura, quindi dal punto di vista dell’educazione alla lettura, quali i sono i modi perché ci si innamori della lettura in modo che essa non diventi un peso?
Noi non lamentiamo la mancanza di contenuti. Per noi è come è servito il prodotto, il contenuto può essere sempre lo stesso, o anche il contenuto meno buono può essere interessante, come la quando la domenica sera mangi latte e biscotti, non è la cena migliore del mondo ma è un momento prezioso. Anche il contenuto più o meno bello se lo offri, lo vivi e lo metti in relazione con altri in un modo positivo, arricchente e rilassato diventa un elemento di piacere.
Ne “La Porta Segreta” di Mac Barnett ci si chiede perché anche i bimbi non abbiano diritto alla spazzatura…
“…la nostra definizione di libri per bambini dovrebbe essere ampia per comprendere opere diverse per argomenti stile punto d vista e perfino qualità, i libri per bambini dovrebbero essere variegati come le vite di chi li legge.
Una lettura per bambini deve comprendere l’arte ma anche parecchia spazzatura, perché la spazzatura è lo scarto necessario nel processo di creazione dell’arte, e anche perché può essere divertente da leggere e i bambini hanno il diritto di leggere le sciocchezze tanto quanto gli adulti. Questo libro non è l’ennesima schermaglia nella lunghissima guerra di confine della letteratura, perché i libri per bambini non sono un genere, potrebbe essere più utile pensare alla letteratura per l’infanzia come una raccolta di formati.”
Restiamo qui a misurare sempre i contenuti, perché non parliamo delle pratiche? Di come le librerie propongono i libri? Come portano il libro? Qui abbiamo tanto da dire, più che discutere del fatto che non si legga.
V: Quale potrebbe essere un cambio di prospettiva e di metodo di lavoro per avvicinare i ragazzi alla lettura come un piacere?
D: Per prima cosa, gli adulti devono leggere sennò non possono offrire libri. Se gli adulti non cercano, i ragazzi non trovano. Chi è dall’altra parte della cattedra, di qualsiasi ordine e grado, se non fa ricerca e non ha idea di quello che esiste non trova dei libri adatti per la persona che ha davanti, sia per una questione di carattere che di momento. Bisogna animarsi dello spirito di ricerca personale, per dare possibilità agli altri di incontrare qualcosa che gli parli.
Oltre a trovare il libro bello, giusto e interessante, che propongo in maniera diretta tramite la lettura ad alta voce, l’altra cosa per far amare la lettura su cui noi abbiamo costruito un pensiero solido che esprimiamo nel nostro film “La vocazione di perdersi”, è affiancare alla prima modalità, la possibilità di portare dall’infanzia fino all’università tanti libri diversi, o che hai a casa, o che metti in comune attraverso le persone che hai intorno, dalla biblioteca, dalle librerie; puoi fare una comunità di libri nei momenti di scarsità di libri.
A Palermo abbiamo messo insieme i libri di un museo, quelli delle persone, quelli di una libreria e della biblioteca (in cui abbiamo fatto iscrivere 31 persone). È sicuramente più faticoso, ma offrire questa varietà permette non solo di ascoltare quello che ti voglio far passare, ma anche la possibilità di cercare da solo quello che a te può piacere. Questo permette a me che faccio da mediatore della lettura, di mettermi in ascolto su quello che ti piace, per scoprire che forse quello che ti ho sempre proposto non è quello che esattamente ti piace, o che può ti servire. A chi incontra quei libri, di avere la possibilità di scoprire una varietà, la monocultura che io conosco, nella realtà non è questa.
In un corso di grafica, una nostra amica all’ISIA di Urbino, ha fatto vedere il film e ogni volta che fa una lezione sulla storia della grafica e dell’illustrazione, lei porta tanti libri diversi e li mostra proprio come delle giungle. I ragazzi così hanno una percezione della varietà, è anche un discorso umano, come incontri la varietà umana, la stessa la incontri nei libri.
Quando io ho questa possibilità di avere un tempo, un tempo libero e non guidato, dove io ti passo un messaggio, che, per quanto possa essere eccezionale, funziona come catalizzatore per affrontare tutta una serie di temi, oltre a questo io offro una possibilità di scoprire diversi temi, materiali, idee, registri visivi, curatele e modi per affrontare lo stesso messaggio.
Ad esempio, se dovessimo lavorare sugli abecedari, tirandone fuori tre già scopriremmo che sono fatti tutti in modo diverso. Tirandone fuori dieci, poi cento, ci accorgeremmo che quante possibilità abbiamo di affrontare un contenuto. Questa è una lezione di vita, la varietà non fa paura, io ti ascolto perché ti do la possibilità di entrare e di scegliere, io mi metto in ascolto, poi ci confrontiamo su quello che scegli e quello che scegli lo mettiamo in comune con tutti gli altri.
Due settimane fa, sono andata in questo doposcuola della periferia di Milano, a Ponte Lambro, erano quattordici ragazzi tutti di 13/14 anni, erano tutti egiziani tranne un marocchino, la prima battaglia era che loro non si ascoltavano e non alzavano gli occhi dal cellulare.
Hai una complessità, per cui il libro ha già perso in partenza, non puoi competere, non riesci a metterlo allo stesso livello. È estremamente più interessante guardare il telefono per queste persone, non posso chiedergli di mettere il telefono dentro una scatola perché per loro sei già uno sfigato, uno stronzo che li limita nei loro desideri e nelle fonti di relazioni e comprensioni.
Allora, io devo, insieme a queste cose, provare a vedere se ho qualcosa da dirti e da darti che può essere anche quello interessante, e vedere dove ci porta.
Quando ti trovi in una situazione così, hai una certa esposizione e non ti puoi permettere di dire cazzate, appena dici qualcosa di noioso hai subito la verifica del fatto che il libro illustrato non è abbastanza.
Qui veniamo da anni di non cultura, di scarsità di risorse, di povertà educativa, di didattica noiosa…il libro ha già perso.
Un libro, un fumetto, un libro illustrato di grafica, un libro di grafica incomprensibile…cosa troviamo qua dentro che vi può raccontare di voi? Come possiamo metterlo in comune? È un rilancio continuo, la lettura della storia arriva solo alla fine, quando abbiamo creato una relazione. Il libro diventa un ponte di relazione, la lettura non è una questione privata, la lettura ti mette sempre in relazione, le visioni di tutti cambiano lo sguardo degli altri, perché scopro qualcosa che non mi aspettavo.
L’idea della dimensione non privata, ci porta a chiederci come il pubblico si fa carico di quegli sguardi, come ne tiene conto? Come pensa che quella cosa sia importante per legare una comunità?
V: Attraverso i progetti “Giungle di libri” che raccontate nel film “La vocazione di perdersi” cercate di avvicinare un pubblico più vasto. Quali sono i riscontri che notate dopo un’esperienza del genere? Quali sono le parole, le esperienze che portate con voi dopo questi incontri?
D: La prima cosa che è sempre forte è “wow!”, le persone di tutte le età nel momento in cui vedono tante cose diverse che non hanno mai visto, dicono “wow!” perché hai un rimando visivo che ti fa già entrare in una dimensione di piacere. Tante cose differenti ti hanno già colpito. Quando già il libro è in competizione con altro, come l’esempio dei ragazzi di prima, loro guardano e venendo da un altro mondo si dicono “ma cos’è sta roba?”, comunque gli richiama l’attenzione, non rimangono indifferenti. Già li hai presi, anche se poi trovi un rifiuto, non sono indifferenti.
Dopo questi incontri che facciamo c’è sempre una dimensione di felicità o commozione. Non solo per la scoperta di libri interessanti, ma per la relazione che nasce dal libro, dal fatto di aver ascoltato altri e che progressivamente nel corso di queste esperienze questi sguardi trovano una comunione.
Trovi comunque una sintesi, che a volte nel minimo comun denominatore è “all’inizio facevamo fatica ad ascoltarci e staccarci dal telefono, alla fine di due ora per una volta abbiamo ascoltato una storia tutti insieme, e io so cosa ci ha trovato un altro e cosa ci ho trovato io e l’abbiamo messo in comune” fino a delle situazioni in cui il minimo comune denominatore è una sensazione di comunione e condivisione con gli altri molto più forte. Quante cose potresti fare se queste persone le vedessi sempre…
V: Per finire, il vostro film racconta con toni poetici e leggeri il rapporto che create fra il libro e la persona che lo scopre. Ricordo che qualcuno di voi disse che l’impresa del film era non rendere noioso l’aspetto della lettura. Qual è stata la sfida maggiore nel riuscire ad evocare la vostra filosofia attraverso una pellicola? Com’è nata la necessità di servirvi di questo mezzo di comunicazione per poter raccontare queste storie?
D: Questa necessità è nata perché avevamo un editore, i TopiPittori, che da tempo ci chiedeva di scrivere un saggio su queste esperienze, ma la parola scritta ci sembrava che irrigidisse e fermasse le cose che vivevamo.
Noi volevamo mantenere lo spirito vivo che incontravamo con le persone attraverso le immagini in movimento che davano anche la possibilità di far vivere le immagini dei libri. Per noi, la domanda sul leggere è una domanda sul guardare, come guardo me, come guardo gli altri e come guardo il mondo che in fondo è la stessa domanda del cinema.
Sicuramente, c’era anche un dato legato all’idea che alcune cose se non le vedi non ci credi, ad esempio la difficoltà di offrire la varietà e la possibilità di unire contenuti per bambini con quelli per adulti, ci sono tante cose che se ti racconto probabilmente non ci credi, mentre se le vedi è un dato incontrovertibile! E pensare di raccontarle senza che qualcuno si addormenti perché stai facendo una roba noiosa o uno spottone pubblicitario è sicuramente una grande sfida.
Ci siamo molto affidati, ci sono delle cose che magari avremmo cambiato o che magari abbiamo battagliato. Abbiamo combattuto molto sul fatto di tenere più una dimensione comunitaria e meno personalistica, allargare le inquadrature, avere più momenti corali, magari noi avremmo spinto ancora di più ma bisogna sempre valutare la differenza fra ciò che vedi tu e quello che vedono gli altri.