L’archivio sarà il futuro della moda. Con Luca Cautiero

Nell’ultimo decennio la direzione creativa dei brand di moda si è avvicinata all’utilizzo dell’archivio storico del brand per la progettazione delle nuove collezioni.

Alessandro Michele, prima in Gucci, ora in Valentino ha operato un’analisi approfondita di tutte gli elementi cardine, anche i meno conosciuti, riadattandoli e mescolandoli creando una singolare e unica visione dei due brand. Donatella in Versace utilizza spesso l’archivio per riproporre pezzi diventati iconici ai tempi di Gianni, dal Jungle Dress fino all’ultima stagione che riprende in pieno una collezione degli anni ’90 della linea Versus.

La Fondazione Gianfranco Ferrè da anni si occupa della gestione e della valorizzazione del patrimonio lasciato dall’architetto stilista.

Modeteca Deanna possiede una collezione inestimabile di pezzi di maglieria dei principali marchi che hanno fatto la storia della moda.

Ci sono poi delle realtà più piccole che interpretano l’archivio non soltanto come una fonte ispirazionale ma come una pratica curatoriale per creare una mappa, una narrazione di uno specifico periodo.

Per questo, parliamo oggi con Luca Cautiero founder di Recente Studio che raccoglie, ispirandosi alla filosofia del Wabi-Sabi i pezzi più iconici della moda nipponica.

LC: Sono uno Stylist laureato qualche anno fa allo IED di Milano.
L’archivio è sempre stata una mia passione, in particolare il momento di ricerca. Fare il fashion stylist in agenzie non ti da grandi opportunità creative e questa cosa mi sta un po’ stretta. Quindi ho deciso di fare qualcosa di mio per esprimermi al meglio.

Recente nasce come una start – up che ha come “idea” principale l’archivio, la rivendita in particolare della nicchia giapponese, e poi fa anche da studio creativo, infatti, ho iniziato a raccogliere qualche progetto riunendo vari creativi che ho conosciuto durante le mie esperienze lavorative fra l’Italia e Parigi.

V: Da dove nasce l’interesse per l’estetica e la moda giapponese? Qual è la filosofia che si nasconde dietro la progettazione di un abito o collezione?

LC: La moda giapponese è stata una ribellione al mondo occidentale. È qualcosa in cui io mi rispecchio molto.

I designer giapponesi vogliono dire qualcosa riguardo ciò che le persone spesso non guardano o non voglio guardare. Sono portatori di questa idea.
Ci sono designer, come Issey Miyake, che sono dei sono sopravvissuti, sono nati dove sono state fatte esplodere le bombe della Seconda guerra mondiale, prendono l’ispirazione dalla distruzione causata dalla guerra. Questo ci porta all’asimmetria, ai tagli, al buco…mi ci rivedo da un punto di vista caratteriale, mi ha ispirato. Un’altra cosa che mi attira molto nel mondo della moda è quando un brand ha un forte filo logico, i marchi giapponesi riescono a mantenere sempre lo stesso stile, non ci sono stati cambi di guardia. Mi piace che loro abbiano dato un’idea al brand e resti quella da anni.

COMME DES GARÇONS S/S 2004 CUT JACKET

V: Come valuteresti l’impatto della moda giapponese su quella occidentale? Secondo te, quali sono le figure che più l’hanno influenzata?

LC: Loro sono entrati a gamba tesa fra gli anni ’70 e ’80, durante la golden age della moda in occidente, hanno avuto un impatto devastante per la moda occidentale. Non potendo solo lavorare in Giappone, ma dovendo spostarsi anche in occidente, si sono espatriati (e molti come Rei iniziano a sfilare a Parigi pur producendo in Giappone) all’interno di un mondo molto molto standard fatto di vestiti di tutti i giorni ricchi di colori e accessori, loro entrano con la loro storia.

Hanno colpito soprattutto i brand del futuro, i nuovi brand, i ragazzi vengono affascinati dall’anti-fashion. Molti giovani che aprono un brand mantengono quelle linee, l’uso delle asimmetrie, il tanto nero…Molti emergenti iniziano con quello stile lì, hanno dato un forte impatto sulle nuove generazioni, nel mondo non c’è solo l’oro ma anche altro. Noi in occidente siamo abbastanza fortunati e molte persone non guardano ciò che non riguarda noi.

Credo che Rei e Yohji siano stati i più influenti. Hanno pure avuto una relazione negli anni ‘80, diventarono una coppia di ribelli e anticonformisti, che riusciva ad avere un successo assurdo nel mondo occidentale.
Se dovessi scegliere solo una persona allora Rei che entra con Comme des Garçons camuffando un po’ la sua origine. Comme des Garçons nasce perché lei vuole dare un’idea di donna diversa da quella che diamo noi in occidente, Rei non ha mai fatto e non farà mai tacchi a spillo perché la donna non ha bisogno di concedersi all’uomo ma deve essere forte e indipendente. Un ragionamento del genere non è banale negli anni ’80. Non c’era appeal sessuale ma l’idea dell’uniforme.

V: Quali sono le differenze che riscontri fra un capo “occidentale” rispetto ad uno “orientale”?

Oltre la mancanza di appeal sessuale dell’abito, non costruiscono qualcosa di sexy neanche a livello di styling. Una cosa che a me piace tanto è l’idea dell’uniforme, lo stile orientale è molto ispirato all’idea dell’uniforme. Ora abbiamo anche designer che propongono qualcosa di simile ma non sono comunque come loro che hanno avuto storicamente molte discipline filosofiche. Essere vestiti come un’uniforme, completamente neri, questo stile fa vedere subito la differenza fra uno stile occidentale e uno orientale.

V: Parlando dello studio, com’è nata questa idea di occuparsi di moda vintage e non produzione attuale?

LC: 50% passione e 50% sistema di oggi. Vendere brand nuovi è molto difficile, devi essere affermato come negozio, devi avere un punto di riferimento fisico spesso e devi godere di credibilità. Ci vuole una grande fonte economica, quando fai un campionario di un brand se non compri tanti capi non te lo danno neanche.

Le persone tendono meno a comprare il nuovo ad un prezzo che sia al 100%, dopo poco l’inizio della stagione molti negozi vanno in saldo perché sanno che le persone comprano così, o usato. C’è anche il fascino della ricerca che è il punto chiave di questo lavoro. La ricerca è scarna quando vendi nuovo, spesso non hai tanta possibilità di scelta. Sono due modi di lavorare molto diversi.

V: Quale pensi sia il futuro rispetto le realtà come Recente?

LC: Posso confermare che negli ultimi anni la parola archivio è stata molto sdoganata. Alcuni si indispettiscono ancora, pensano sia qualcosa ben preciso quasi antico, in realtà è un capo della collezione passata. Già quello che è dell’anno scorso, e poi a scendere, è archivio. Molti dicono che l’archivio è solo composto da pezzi iconici, non è assolutamente vero. L’archivio definisce ciò che è passato di una stagione.
Il futuro penso sia positivo perché le persone iniziano a capire quanto valgono i capi nuovi e quanto valevano prima. Se pensiamo agli scandali che hanno preso i grandi marchi come Armani e Dior hanno fatto aprire gli occhi alle persone. Da Londra mi dicono che quasi tutti comprano solo archivio o vintage, sono sempre meno le persone che comprano il nuovo, perché spesso c’è una scarsa qualità anche per i brand famosi. Molti comprano archivio per la manifattura migliore del passato. La speranza è di andare in un mondo in quella direzione. Spero che le persone riescano a capire la qualità.

Personalmente, l’archivio può essere qualcosa che ha un futuro, cerchiamo di essere anche una community, di dare spazio ai giovani e altri progetti, connessione fra persone oltre al fatto del vendere il capo. L’idea è di trasformare Recente in un brand.

V: In cosa consiste un lavoro di ricerca di capi d’archivio?

LC: Proprio come dice la parola veramente tantissima ricerca, più è vecchio il capo più è difficile riconoscere da “dove” viene. Pian piano però si impara a leggere l’etichetta, impari a riconoscere il capo, da dove viene e comprenderne l’età. Il lavoro consiste nel leggere tantissimo e informarsi tantissimo.

Il trucco è quello di concentrarsi su una nicchia di brand abbandonando l’idea del multistore. Concentrarsi su meno brand ma riuscendo a dare una storia più definita. Nel mio caso, io ho pure pezzi di designer che mi piacciono come Margiela o Raf Simons, ma in linea di massima, cerchiamo di comprare solo giapponese per creare una storia.

Con Recente, ad esempio, utilizzo il fagotto giapponese per il packaging. È un fagotto fatto in carta, legato con la juta e chiuso con la ceralacca che si utilizzava nell’800…ti dà un senso alla storia. Concentrarsi sullo specifico è il trucco dell’archivio, diventi molto più preparato su quello che vendi.

È difficile conoscere la storia di tutti i designer, io preferisco concentrarmi su quelli inerenti al progetto.

Packaging - Fagotto in carta con filo di juta e ceralacca

V: Come detto precedentemente, molte aziende utilizzano l’archivio come supporto e infinita fonte di ispirazione, per chi vuole imparare a lavorare con l’archivio magari seguendo un percorso simile al tuo, o magari lavorando in grandi marchi, che consigli daresti?

LC: Fare qualcosa di tuo ti può dare veramente tanto, aiuta a farti notare, è un modo per esprimersi al meglio e ti fa un gran curriculum. Di archivio, se ne parla da poco anche se è da anni che i designer guardano al passato. È una cosa degli ultimi anni parlare di archivio in maniera seria.
I brand hanno riaperto gli archivi non da troppo. Ci sono brand più attaccati all’archivio rispetto ad altri. Da Valentino se ne parla tanto ad esempio.
Se fossero aperti veramente di tutti i brand sarebbe una grandissima ispirazione per i futuri progettisti. La Modeteca Deanna penso abbia tutta la maglieria esistente al mondo, ha moltissimo Margiela comprese cose rarissime dagli anni ‘90.

Ci si può affacciare al mondo studiando e facendo ricerca, è molto importante. È difficile trovare canali per comprare, dopo anni di ricerca ho trovato dei canali giapponesi, però è molto figo e soddisfacente.
Anche la ricerca nei mercati, secondo me, ha portato un certo interesse, molte persone ora comprano e rivendono banalmente su Vinted.

Per farlo in maniera più seria a livello professionale ci vuole tanta passione e informazione.
Ho conosciuto un archivio famosissimo ed è questo ragazzo greco ENDYMA che era partito come rivendita, poi il pubblico si era interessato a Helmut Lang, decise di spostarsi a Berlino e comprare solo Lang, lui è un vero archivio che conserva più di 5 mila pezzi di Helmut, probabilmente neanche il brand ha quei pezzi.
Qualcosa vende, ma guadagna anche con le visite. Si possono fare offerte e comprare i doppioni, un archivio dovrebbe vendere ai nuovi designer il come certi designer facevano qualcosa. Ci potrebbero essere designer interessati a conoscere come Helmut Lang realizzava le sue famosissime canotte negli anni ’90, quindi l’archivio vende le foto e le informazioni dei capi o semplicemente li affitta.

Questo probabilmente è il vero senso dell’archivio. Quest’anno ho visto un’intervista dei Fashion Sourcer, che in realtà non esiste ma è l’unico termine creato da poco che descrive un po’ quello che facciamo.

V: Ti vorrei chiedere se hai dei pezzi a cui sei affezionato?

LC: È difficile non affezionarsi…in particolare per qualcosa che è perfettamente della tua taglia. Io cerco di non affezionarmi troppo, aspetto di crescere e poi in caso ci penso.

Ho un parka di Margiela del periodo di quando Martin disegnava per il brand.
Poi un Comme des Garçons Shirt che è una sciarpa composta da tre magliette.
Un pezzo del 2012 è uno dei miei preferiti, creato per Comme des Garçons Homme Plus, è cappotto corto con tasche bucate.
Ultimamente mi sono tenuto un pezzo Maison Mihara Yasuhiro, è meno conosciuto ma vecchio quanto loro. Lui è degli anni ’70 e ha iniziato nel 2000.

Anche del designer di Number 9 ho qualcosa, Takahiro Mihashita. Ha due marchi Number 9 e Takahiro Miyashita The Soloist, il primo è molto famoso dal punto di vista dell’archivio, molto ricercato, l’ha fatto sfilare fino al 2010. Lui ha fatto quelle cose che riprendono le ossa, la cassa toracica. Ci sono anche queste cose nel settore, designer che disegnano qualche anno e poi puntano molto sull’archivio.
Spero di non affezionarmi troppo spesso, voglio mantenere quello che vendo in vendita, separato da ciò che compro per me.

V: Cosa non può mancare in un archivio?

LC: Non è avere dei pezzi in particolare, brand come Comme des Garçons ne hanno fatti di pezzi iconici, probabilmente bisogna avere dei pezzi che siano asimmetrici o distrutti da qualche parte, ma un archivio in particolare deve avere i libri.

Ti aiutano sulla ricerca perché ci sono informazioni e dettagli che non sono presenti nelle sfilate, alcuni pezzi infatti non sfilano ma magari escono in una campagna pubblicitaria. Io ho una giacca di Comme des Garçons Homme che non è in sfilata, perché Homme non sfila, ma è in una campagna pubblicitaria del 2013.

Per me è super attuale Il Quarto Sesso di Raf Simons, o banalmente, se vendi Comme des Garçons non puoi non avere i libri iconici che ti raccontano la storia e gli aneddoti che ti aiutano a raccontare quello che fai. Loro sono l’effettiva ricerca del brand che vendi. È ancora più importante di avere un pezzo iconico super costoso.

V: Primo acquisto vintage giapponese?

LC: Lavoravo per un negozio di moda a Napoli un po’ avantgarde, andavamo a comprare negli showroom a Milano e mi appassionai alla ricerca. Il mio primo pezzo giapponese è stato un pantalone di Comme des Garçons con delle zip dietro che chiudono e modificano il come portare il pantalone. Penso che questo sia stato proprio il mio primo pezzo.

COMME DES GARÇONS HOMME PLUS S/S 1995 CUT BLAZER
COMME DES GARÇONS HOMME PLUS S/S 2022 DESTROYED SWEATER
JUNYA WATANABE COMME DES GARÇONS F/W 1999 PLEATED SKIRT
Since the early 20th century, knitwear has stood as a symbol of modernity, versatility, and liberation. Its stretchable, form-fitting nature offered an unprecedented sense of ease and movement, reshaping how people dressed for both everyday life and physical activities. Knitwear broke away from the rigidity of traditional tailoring, becoming the garment of choice for a new era defined by dynamism and innovation. Whether on the tennis courts, at the beach, or during leisure time, knitwear became the trusted ally of a society embracing change, freedom, and a more active lifestyle. Its timeless appeal continues to bridge functionality and style, securing its place as a cornerstone of modern fashion.
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