Canti bulgari, nell’austerità dello spazio bianco, arredato da quattro sedie e un tavolo rotondo. In questo ambiente alienante si muovono le modelle della sfilata A/I 2000 di Chalayan. Movimenti lenti che si coniugano con una tensione, forse quasi ansia, crescente culminante nel finale della sfilata dove l’oggetto, prima arredo, diventa abito.
È proprio questo il gioco, abito e abitare, abitare spazi che mutano, abitare posti che ti obbligano a spostarti quando meno te lo aspetti, avere spazi poco solidi pronti ad essere abbandonati. È un dramma umano, il dramma dei rifugiati, della guerra del Kosovo e della spartizione di Cipro che caratterizza tutte la fine del vecchio e l’inizio del nuovo millennio, quel dramma umano che in maniera criptica e mai veramente svelata il designer cipriota mette in scena nella sua collezione Autunno Inverno.
Il climax sarà la trasformazione del tavolo da caffè in una gonna. Quattro modelle stanno in piedi davanti il pubblico contornate da una scenografia scheletrica e lirica. Dalla porta sul fondo, l’uscita finale, un top con rouches dalla tradizione francese (Christian Dior?) e una gonna, con un passo che mette l’accento su ogni movimento, la modella smonta il tavolino, fino ad avvolgersi in questi cerchi di legno e in un applauso condiviso che santifica la sfilata come una delle più impattanti dell’immaginario moda.